La parola efficienza è ormai entrata da qualche decennio a far parte della lingua comune come sinonimo di comportamento virtuoso, di modo di agire adeguato. È una di quelle parole che viene utilizzata in tutte le salse. Gli esempi non mancano. Tutti ci definiamo efficienti nell'organizzazione, nella produzione, nell'uso di risorse, in quello dei capitali o del tempo, e naturalmente nel campo dell'energia. Ca va sans dire, direbbero i francesi. Il problema sorge quando è necessario descrivere e misurare l'efficienza, e soprattutto confrontarla per controllare il raggiungimento di obiettivi che per loro natura non sono di valore relativo ma assoluto. Perché nel campo dell'energia, come in generale in quello dell'uso delle risorse, non ci interessa la grandezza relativa del lavoro in rapporto all'energia investita -che è la definizione di efficienza-, ma soprattutto il consumo globale. In realtà ponendo obiettivi di efficienza si utilizza un mezzo per un fine. Certo ci mancherebbe che venissero preferiti prodotti inefficienti: per un tecnico come me è quasi una religione quella della ricerca della massima efficienza. È il sale di ogni nostro lavoro: chi progetta un motore desidera farlo il più efficiente possibile. Chi costruisce un circuito idraulico cerca di avere le minori perdite. Chi sviluppa un'ala sogna la maggior portanza rispetto alla resistenza aerodinamica. Chi progetta una cella fotovoltaica vorrebbe riuscire a trasformare in potenza elettrica più irraggiamento possibile.
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